Antonio Troiano: “Il noi viene prima dell’io. Serve un cambio di mentalità nel Paese”

Abbiamo intervistato in esclusiva per Prima Stampa Antonio Troiano  Coordinatore provinciale Forza Italia Giovani (provincia di Foggia)

Qual è il suo ruolo all’interno di Forza Italia e in che modo contribuisce alla definizione delle politiche giovanili del partito?

Attualmente ricopro l’incarico di coordinatore provinciale di Forza Italia Giovani. Ho iniziato a militare in questo partito circa dieci anni fa. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Nel luglio del 2023 il mio coordinatore regionale, Mario Schena, mi ha affidato l’incarico di riorganizzare il movimento giovanile in provincia di Foggia, dopo alcuni momenti di difficoltà. La strada è ancora lunga, ma intanto siamo riusciti a creare una nuova rete sul territorio, abbiamo iniziato a crescere e a creare momenti di condivisione. Eventi, iniziative, congressi: la partecipazione è l’essenza del nostro movimento, lo strumento per influenzare le scelte del decisore politico. Per me è stato particolarmente emozionante partecipare all’ultimo congresso nazionale come delegato: rappresentare la propria terra è l’onore più grande che ci possa essere per chi svolge attività di militanza. Non bisogna mai dimenticare, però, che il noi viene prima dell’io, poiché con l’egoismo e le ambizioni personali non si può costruire alcun progetto serio e si rischia di invertire il rapporto di mezzo a fine: si è eletti per operare, e non si opera per essere eletti. Tale inversione potrebbe risultare devastante. E, parafrasando Margaret Thatcher, le inversioni non ci piacciono.

 

 

I giovani faticano sempre più a trovare lavoro stabile: quali misure concrete propone Forza Italia per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro?

Di misure volte a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro se ne possono citare diverse: sgravi contributivi per le aziende che assumono under 35, incentivi all’imprenditoria giovanile nelle aree depresse, rafforzamento dei meccanismi di decontribuzione nelle zone svantaggiate. Ma, a mio parere, il tema è un altro. Prima di intervenire a livello pratico, è necessario un cambio di mentalità. Siamo ancora troppo ancorati al dogma dell’interventismo statale fine a sé stesso e all’utilizzo di strumenti che alleviano solo parzialmente e nel breve termine le storture economiche e lavorative. Bisogna superare la politica dei bonus e dei sussidi, essere disposti a sacrificare ciò che non è indispensabile per perseguire due obbiettivi. Il primo, la presenza di pochi interventi statali ma con un tasso maggiore di incisività e di risorse stanziate. Il secondo, avere i conti pubblici in ordine: viviamo in un’epoca in cui tale esigenza non può non essere soddisfatta, visti anche i parametri europei che dobbiamo rispettare. Uno Stato forte e con un’economia solida deve saper far quadrare i propri bilanci, tagliando le spese inutili. Tutto ciò deve essere realizzato nella cornice di un mercato più libero, non condizionato dalle briglie della burocrazia (altro tasto dolente), anch’essa un ostacolo enorme alla crescita del Paese e delle nuove generazioni. Non deve essere lo Stato ad aiutarci nelle nostre scelte e a risolvere tutti i nostri problemi. Dobbiamo correre verso forme di individualismo, di capacità di autorealizzazione e di decisioni consapevoli.

 

 

 

Crede che il collegamento tra scuola, università e mondo produttivo sia sufficiente in Italia? Come potrebbe essere migliorato per valorizzare le competenze dei giovani?

Non credo proprio. Oggi in Italia si verifica il così detto fenomeno di skill mismatch: ossia, una discrepanza tra le competenze richieste sul mercato del lavoro e quelle effettivamente possedute dai lavoratori o da coloro che sono in cerca di occupazione. Il mercato del lavoro si evolve rapidamente, specialmente con l’ausilio delle nuove tecnologie. Non possiamo continuare a ignorare il fenomeno. Tale problematica ha radici profonde, che partono dalle lacune esistenti nell’istruzione e nella formazione dei più giovani. Ci vorrebbero interi libri per descrivere la particolarità del fenomeno. Io credo che, come spesso accade, siamo poco pragmatici, ci piace filosofeggiare e soffermarci eccessivamente su ogni tipo di materia esistente, senza sviluppare le abilità e le competenze che più si addicono a ogni singolo individuo. Non parliamo poi dei programmi scolastici, sempre meno in linea con i tempi e arretrati. Le sembra normale, ad esempio, che all’inizio di ogni ciclo scolastico lo studente debba ripartire dall’australopiteco o dai Babilonesi, senza avere la possibilità di sapere cosa sia la Guerra Fredda, la guerra in Iraq o la crisi del 2008? O, perché no, senza ricevere alcun insegnamento in materia di educazione finanziaria? C’è gente che ancora crede al mito secondo il quale, per risolvere i problemi economici, basti stampare più moneta, come se lo Stato fosse un bancomat.

 

 

 

Molti giovani si sentono distanti dalla politica. Cosa fa Forza Italia per coinvolgerli di più e restituire fiducia nelle istituzioni?

La fiducia non si costruisce in pochi giorni, è un processo lungo e dispendioso. Penso che l’ascolto sia l’arma più potente che abbiamo a disposizione. I più giovani hanno bisogno di essere ascoltati, di avere qualcuno con il quale potersi confrontare, che li possa aiutare a comprendere i non semplici meccanismi della vita politica e istituzionale, a formarsi nel merito. Questo è ciò che cerchiamo di fare quotidianamente, nei circoli, nelle scuole, nelle università, ma anche semplicemente dinanzi a un buon caffè. Le relazioni umane sono importanti in questo processo di crescita e aggregazione, talvolta si deve vivere la politica con la spensieratezza tipica della giovinezza, essere meno formali, togliersi la giacca e la cravatta e vivere momenti di condivisione diretti, anche lontani dai riflettori. Però voglio essere chiaro: l’avvicinamento deve essere reciproco. Se il singolo sceglie di non mettersi in gioco e di criticare giornalmente chi invece ci mette la faccia, allora il coinvolgimento risulta alquanto problematico, quasi impossibile. Se uno vuol far decidere sempre ad altri il proprio futuro e non ha intenzione di cambiare idea, l’unica speranza è che i fatti possano smentirlo e portarlo verso un’altra visione. Inoltre, ritengo che al giorno d’oggi manchi spesso l’umiltà necessaria per aprire un confronto. Tanti giovani, pur non avendo militato un solo un giorno in un partito, pur avendo una conoscenza scarsa e superficiale delle tematiche di cui trattano, pretendono di insegnare all’apostolo come si prega, con un’arroganza a tratti spaventosa. Le faccio un esempio recente: questione Palestina. Come si può, contemporaneamente, sostenere con vigore la scarsa applicazione del diritto internazionale nel caso de quo e esaltare, allo stesso tempo, il riconoscimento dello Stato palestinese effettuato da alcuni paesi (come Francia e Gran Bretagna) ignorando che tale atto contrasta con gli orientamenti attuali del diritto internazionale medesimo? Infatti, la vecchia teoria costitutiva, secondo la quale ai fini dell’esistenza di uno Stato è sufficiente il riconoscimento di altri Stati, ha ormai perso la sua centralità: sono necessari requisiti ulteriori che, attualmente, non sussistono nella situazione oggetto di analisi. Questo approccio semplicistico ignora, tra l’altro, le conseguenze disastrose che possono derivare dalla costruzione “artificiale” di entità statali, senza alcuna aderenza alla realtà: basti pensare alla Libia, frutto dell’unione forzata di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, sopravvissuta (paradossalmente) sino a pochi anni fa solo grazie alla presenza di Gheddafi e divenuta attualmente un failed state. In altri termini, la complessità di ciò che si affronta e su cui si dibatte non consente a nessuno di essere depositario della verità assoluta e richiede un minimo di preparazione e un giudizio meno offuscato dalle emozioni del momento.

 

 

 

In che modo le politiche di Forza Italia intendono premiare il merito e sostenere i giovani che vogliono restare in Italia e costruirsi un futuro qui?

Sono fortemente convinto che la valorizzazione del merito sia più una battaglia culturale, da condurre non solo nelle sedi istituzionali, ma in tutte le branche della società. Certe ideologie hanno spesso deviato il nostro cammino, portandoci fuori strada e dando più spazio a elementi differenti dalle competenze e capacità personali. Penso, per esempio, alle quote rosa. Per quel che mi riguarda, una lista elettorale, così come un consiglio d’amministrazione, può essere composta anche da soli uomini o da sole donne. Ciò che importa è la bravura del singolo e il suo apporto benefico nell’ambito in cui va a svolgere la propria funzione. In molte situazioni poi la bravura dell’individuo viene data per scontata, ma così non è. Non si deve mai lasciare indietro nessuno, ma ogni tanto bisogna anche gratificare chi ha una marcia in più, altrimenti si crea un circolo vizioso dal quale è difficile uscire. Ci tengo a precisare che la valorizzazione del merito, più che dalla politica, deve partire dal basso, dall’intera comunità. Se si va a votare solamente per avere un favore o un posto di lavoro in cambio, se si cercano sempre delle scappatoie per sistemare il familiare o il conoscente di turno, se si continua ad alimentare l’utilizzo del do ut des per fini poco onorevoli, allora non ci si può lamentare del fatto che a guidare una Ferrari ci finisca un pilota di aerei. Serve maggior consapevolezza da parte di tutti sotto questo profilo. Anche perché sono la politica e il diritto a seguire i cambiamenti sociali, e non il contrario.