Di Giuseppe Di Gregorio – Lunedì 17 marzo, nei pressi di Carlentini, come riporta tanto la cronaca nazionale quanto quella regionale, è avvenuto un terribile e tragico incidente sulla strada statale 194 Ragusana, che ha ferito 7 persone e ne ha tolto la vita ad altre 3, due padri di famiglia sulla sessantina e un ragazzo diciottenne, in odore di paternità.
La ragione che mi sta portando a scrivere questo articolo non è tanto l’incidente stradale in sé, che di per sé è un fatto straziante, quanto il suo contesto: le vittime del sinistro erano lavoratori, più precisamente braccianti agricoli, che dalle campagne di Francofonte – dove lavoravano alla raccolta delle arance per conto di un’azienda catanese del settore – stavano tornando alle loro case, ad Adrano – che da lì dista più di un’ora circa. Il tutto giusto per portare qualcosa sulla tavola delle loro famiglie.
Il mio onesto pensiero è il seguente: ciò che è avvenuto non è una mera tragica storia di un incidente stradale come purtroppo occorre, ma una vera e propria tragedia del lavoro.
Sembra che a confermare tutto ciò sia lo stato di manutenzione del furgone che trasportava le vittime, che non era, per usare un eufemismo, nella migliore delle condizioni possibili, e il fatto non mi sorprende più di tanto, e ci farebbe tanto riflettere sulle effettive condizioni di lavoro a cui erano sottoposti.
Ciò che è successo, nel complesso, non è un caso isolato: quello che è avvenuto è ciò che viene chiamato infortunio in itinere, ossia un incidente che avviene durante il tragitto che porta dal posto di lavoro al domicilio o viceversa (o anche per spostarsi presso un luogo di ristoro), come si deduce dalla ben più dettagliata descrizione dell’INAIL. In merito a ciò purtroppo la Sicilia si attesta come la regione dove questi, al momento, sono cresciuti di più: la media regionale è del 12,8% contro il +4,9% nazionale, e ancor più drammatico è il valore in percentuale sulle morti, +23,9% rispetto al totale dei decessi sul lavoro in Sicilia. E stiamo solo parlando dei dati accertabili, escludendo il lavoro non in regola o altri sottaciuti.
Oltre alla tendenza allo sparagnu tipico delle aziende della nostra isola, un fattore burocratico-amministrativo contribuisce a questo fenomeno: l’insufficienza dei controlli e del numero degli ispettori regionali del lavoro; in tutta la Sicilia sono solo trenta, e addirittura in una delle sue province, ossia quella di Enna, ne è attivo uno solo, su un territorio che magari non sarà particolarmente denso di aziende, ma dove comunque le attività produttive e primarie non mancano, tanto in una Barrafranca che in una Troina.
Il mio auspicio è che tutto questo ci porti ad agire affinché il lavoro in Sicilia sia più sicuro di ora, dove evidentemente il confine tra la vita e la morte risulta essere più sottile di quello che noi percepiamo e pensiamo comunemente.
Oltre a ciò, da figlio e da fratello, voglio mandare un abbraccio alle famiglie delle vittime e agli altri che per fortuna sono riusciti a scampare alla morte in questo tragico incidente. Perché non si può e non si deve morire per portare da mangiare in tavola nelle proprie case.
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