Vector illustration in super mom concept, many hands working with very busy business and housework part, feeding baby, cleaning house, cooking, doing washing, working with laptop. Flat design.
Secondo gli ultimi dati Inps riferiti al 2023, in Italia il tasso di occupazione femminile si attesta al 52,5%, ben 17,9 punti percentuali in meno rispetto a quello maschile. Un divario che riflette non solo discriminazioni di genere, ma anche una profonda carenza di politiche di supporto alla famiglia e alla genitorialità, in particolare nelle regioni del Sud.
L’Inps evidenzia in modo drammatico il peso che le donne, e in particolare le mamme lavoratrici, continuano a sostenere. Nonostante siano più istruite degli uomini, le donne guadagnano meno, lavorano più spesso part-time (spesso non per scelta), faticano a ottenere incarichi di vertice e, di conseguenza, finiscono con il ricevere pensioni sensibilmente più basse. Dentro questa realtà diseguale, le madri pagano il prezzo più alto.
La situazione è particolarmente critica in regioni come la Sicilia, dove l’offerta di asili nido è molto al di sotto degli standard europei. Non solo i posti disponibili sono pochi, ma anche gli orari di apertura ridotti rappresentano un serio ostacolo alla conciliazione tra lavoro e famiglia. In molte città siciliane, i nidi comunali chiudono intorno alle 13:00 o 14:00, rendendo impossibile per le madri lavorare a tempo pieno, a meno di dover ricorrere a soluzioni private, spesso costose e non accessibili a tutti. A fronte di una domanda crescente, i servizi educativi per la prima infanzia non sono sufficienti né per quantità né per qualità, e il sistema di welfare familiare regionale risulta spesso frammentato e inadeguato. Questo costringe molte madri a sacrificare il lavoro o a ridurre drasticamente le proprie ambizioni professionali.
Le mamme italiane sono il perno invisibile su cui si regge l’intero equilibrio familiare: gestiscono casa, figli, compiti scolastici, attività extrascolastiche e spesso anche la cura degli anziani. Eppure, tutto questo lavoro non retribuito non viene riconosciuto né economicamente né socialmente. I numeri sono eloquenti: nel 2023, le giornate di congedo parentale richieste dalle donne sono state 14,4 milioni, contro appena 2,1 milioni richieste dagli uomini. Anche il part-time involontario colpisce soprattutto le donne, con il 15,6% delle occupate costrette a orari ridotti, tre volte di più rispetto agli uomini. Molte madri rinunciano a opportunità di carriera o a incarichi a tempo pieno per far fronte alle esigenze familiari. Il loro contributo, fondamentale, viene però sistematicamente ignorato dai modelli di sviluppo economico e dalle politiche del lavoro.
Il dato che il 29,4% delle donne sia sovraistruito rispetto al lavoro che svolge, è particolarmente significativo. Spesso si tratta di donne con titoli di studio elevati che, una volta diventate mamme, non riescono più a trovare un’occupazione all’altezza delle loro competenze, soprattutto in mancanza di un sistema di servizi di supporto efficiente (asili nido, doposcuola, orari flessibili).
Le madri italiane sono vere e proprie “colonne invisibili” che sorreggono il sistema sociale ed economico, spesso a prezzo della propria realizzazione personale e professionale. Il gender gap fotografato dall’Inps è il risultato anche di questo squilibrio: finché la maternità sarà un ostacolo anziché una risorsa per il mondo del lavoro, sarà impossibile parlare di vera parità. Servono politiche concrete che supportino le madri: servizi per l’infanzia accessibili e diffusi, congedi parentali equamente condivisi, flessibilità lavorativa reale e incentivi per l’occupazione femminile.
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