«La causa principale è la mancanza di visione e programmazione da parte dei governatori che si sono succeduti. Le infrastrutture sono spesso relegate in fondo alla lista delle priorità, perché non portano consensi immediati. Penso alla rete idrica, che perde oltre il 51% dell’acqua, alle strade e autostrade interrotte da cantieri infiniti, e alle ferrovie a binario unico, che rendono l’alta velocità un’utopia. Eppure, si trovano 14 miliardi per un ponte sullo Stretto, utile solo alla propaganda e alla retribuzione dei manager della Stretto di Messina S.p.A.».
«Bisogna offrire vere prospettive di realizzazione. Servono investimenti concreti nel tessuto produttivo e misure di sostegno come il programma Resto al Sud, che incentivava le aziende ad assumere giovani. Tutto questo deve avvenire all’interno di una programmazione strategica, con lo sviluppo dell’isola al centro dell’agenda politica».
«Oltre alla carenza infrastrutturale, c’è l’incapacità manifesta di utilizzare i fondi europei per lo sviluppo e la coesione, che dovrebbero servire proprio a colmare il divario territoriale. Con il governo Meloni, addirittura, sono stati sottratti 6 miliardi di euro destinati alla Sicilia per finanziare un’opera, il ponte sullo Stretto, che presenta gravi criticità progettuali e probabilmente non vedrà mai la luce. Non porterà sviluppo, ma solo dispersione di risorse».
«Se si tratta solo di ricreare poltrone, non ha alcun senso. Se invece le province venissero rilanciate come enti di coordinamento territoriale, ad esempio per la gestione della viabilità, allora il discorso cambierebbe. Ma servono competenze reali e non incarichi politici fine a sé stessi».
«Manca la volontà politica. È più semplice mantenere il consenso attraverso il bisogno che attraverso il riconoscimento dei diritti. Serve un risveglio civico, una reazione come quella che ci fu dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio: un moto di dignità collettiva che spinga i cittadini a chiedere, anzi pretendere, un cambio di passo dalla politica e risposte concrete».
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