In esclusiva per Prima Stampa abbiamo intervistato Bouchra Essalhi, Attivista per la giustizia sociale e i diritti umani, impegnata in particolare sulla causa palestinese.
Cosa ti ha spinto a partecipare a questa manifestazione per la Palestina?
Mi ha spinto un senso di urgenza e responsabilità. Non si può restare in silenzio di fronte a un genocidio in corso. Partecipare a questa manifestazione è stato un modo per prendere una posizione netta, per dire che non voglio che la mia terra, la Sicilia, sia complice di crimini contro un popolo che da decenni subisce occupazione, apartheid e violenza. Oggi più che mai serve chiarezza morale e politica: non possiamo accettare che le nostre istituzioni continuino a mantenere relazioni con chi perpetra violazioni sistematiche dei diritti umani.
Qual è, secondo te, il messaggio più importante che questa manifestazione vuole trasmettere?
Che non possiamo più far finta di niente. La Sicilia non è una terra neutra: qui ci sono basi militari, radar, accordi con Israele che ci rendono parte di quello che succede in Palestina. Il messaggio è che abbiamo il dovere di scegliere da che parte stare, e non possiamo continuare ad avere rapporti con uno Stato che sta commettendo un massacro. Restare in silenzio vuol dire essere complici. Questa manifestazione serve proprio a rompere il silenzio e a chiedere giustizia, dignità e libertà per il popolo palestinese.
Hai notato un cambiamento nell’attenzione pubblica o mediatica verso la causa palestinese negli ultimi mesi?
Sì, sicuramente qualcosa si è mosso, ma è ancora troppo poco rispetto all’enormità di ciò che sta accadendo. In molti, soprattutto tra i giovani, hanno cominciato a informarsi, a prendere parola, a mobilitarsi. Però l’informazione mainstream continua spesso a parlare con cautela, a evitare la parola “genocidio”, a mettere sullo stesso piano oppressi e oppressori. Serve più coraggio da parte dei media, e più pressione da parte della società civile.
Come descriveresti l’atmosfera e la partecipazione durante la manifestazione?
L’atmosfera era intensa e carica di significato. C’era tanta rabbia, ma anche tanta determinazione e voglia di reagire. Le persone non erano lì per caso: si percepiva un senso di partecipazione profonda, vera. È stato bello vedere gente diversa, di tutte le età, unita dalla stessa esigenza: non restare indifferenti. Si respirava un forte desiderio di giustizia, ma anche di comunità, come se tutti sentissimo che è arrivato il momento di fare qualcosa insieme, e non solo a parole.
. Cosa pensi si possa fare, oltre a manifestare, per sostenere concretamente la popolazione palestinese?
La mobilitazione non può fermarsi alle piazze. Serve un impegno politico costante: costruire campagne di boicottaggio, pressione e disinvestimento contro tutte le realtà che traggono profitto dall’occupazione e dall’apartheid israeliano. Serve pretendere che le nostre istituzioni — a partire dalla Regione Siciliana — interrompano ogni collaborazione con Israele, soprattutto in settori strategici come agricoltura, sicurezza, tecnologia e università. Non possiamo permettere che la nostra terra venga usata come base militare e diplomatica da chi opprime un popolo intero. Sostenere la Palestina oggi significa anche organizzarsi, fare rete e costruire un fronte ampio che dia continuità politica alla solidarietà.
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